“Il mio corpo è la mia casa”, ieri sera nell'Atrio del Palazzo Comunale di Triggiano. Se l’uomo con il suo corpo fosse un file e il mondo che ci circonda e in cui siamo inseriti da protagonisti troppo spesso inconsapevoli fosse un hard disk, potremmo dire che quel file sarebbe disperso e frammentato, fino al punto di perdere completamente di contiguità e risultare per questo non più percepibile in quella unità di essere che chiamiamo umanità. L’immagine, mutuata dall’informatica, rende forse l’idea della nostra frequente estraneità nel cogliere una immagine umana dietro la massa di dati che la realtà, anche riletta dai mass media, ci invia fino alla bulemia. Immagini di barconi carichi di numeri, di cadaveri ripescati, di barboni sulle panchine dei parchi, di morti ammazzati sulle piazze del Nord Africa, di tracce di tortura, di carcerati morti in strane circostanze, di cronaca nera, di parole dure come pietre (clandestini, irregolari). Immagini frammentate, disperse, cluster separati da abissi di zone bianche chiamate paura, intolleranza, pregiudizio. E l’uomo si perde lasciando solo, qua o là, tracce con l’insignificanza di reperti anatomici: un braccio, una gamba, un pezzo di faccia.
Erano i pezzi, fotografati da Donatella Tummillo, che giacevano per terra in primo piano nell’azione teatrale “Il mio corpo è la mia casa”, presentato ieri sera nell’Atrio del Palazzo Comunale di Triggiano a cura dell’Associazione Atlantide - La città ritrovata. Dietro, alcuni “attori” chiamati nello spazio di pochi minuti a recitare il proprio destino, a celebrare l’arte della loro esistenza lacerata, violata con la forza espressiva del loro stesso essere vivi. Così, con semplici azioni corali, tra canto implorazione preghiera e lamento – rituali di dolore eppure di vita-, lo spettacolo si è snodato con sonorità di lingue ritmi e culture diverse, facendo coro delle diversità, dell’autenticità, della pluralità. Aveva il loro dire l'energia interiore del mantra nella ripetizione rituale di frasi come “sono stanca di questa vita” o “il mio corpo è la mia casa” e il pubblico era inevitabilmente coinvolto in un dovere di attenzione, di silenzio, di condivisione: tutti partecipi di una autobiografia sociale riemersa d’improvviso dal fondo di una coscienza distratta e consumistica. Così piano piano dietro quei volti e quelle voci che rimandavano a storie terribili di disagio mentale, di fughe con la vita in pegno, di torture, di discriminazioni, di ospitalità nel Cara, si faceva strada l’uomo nella sua unità di corpo sangue e anima. Alla fine i protagonisti ci hanno provato a deframmentare il corpo, riportando a mosaico i reperti anatomici fotografati. Certo non è stato possibile farlo completamente e non tutte le tessere hanno potuto concatenarsi. Sono rimaste, certo, zone bianche a mantenere soluzioni di contiguità. Ma il compito è solo all’inizio e una soluzione buonista sarebbe stata certamente contraddetta troppo presto dalla realtà. Eppure anche quella immagine così parzialmente deframmentata è testimonianza minimale ma preziosa di umanità. Per questo i protagonisti l’hanno circondata per proteggerla con i loro stessi corpi e su di essa hanno proteso le mani trepide per averne gelosa cura. La speranza è quella di un seme lanciato perché fruttifichi e la danza finale, che ha coinvolto anche il pubblico presente, è stato il segno tangibile di questa speranza. Certo il mondo sarà migliore quando torneremo a danzare tutti insieme, lasciando che il corpo sia finalmente sè stesso e ci parli, al di là dei falsi pudori frutto della cattiva coscienza. La toccante serata è stata completata da una eccezionale esibizione in pantomima di Renato Curci. Alcune foto dell'evento nella location delle Officine UFO - Rutigliano al link: http://www.tmland.it/galleria.aspx?IDGalleria=383
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